Parla Diana Toccafondi, Parla Francesco Apergi, esperto di Antropologia Culturale

"Ci sarebbe molto da dire su questo libro, la bellezza la bontà dei libri dipende da quante più idee fanno nascere, e ce ne sono tante. Io partirei da quanto diceva chi mi ha preceduto, la capacità di saldare una narrazione di tipo storico a un ‘esperienza familiare.
Ma non voglio ripetere quanto già detto, è una storia di famiglia personale e i due aspetti, la storia la narrazione oggettiva e la capacità di comunicare, direi che sono in armonia ben fusi insieme.
È una storia di famiglia ma anche di una comunità, perché dalla famiglia e dalle vicende individuali di Eleonora, di Adriano, dei figli, dei parenti, gli spunti nel libro si allargano e illustrano un contesto: è una storia locale vista da tanti segmenti diversificati che sono il trapasso dallo stato borbonico a quello sabaudo, nelle sue complessità di tipo amministrativo, fiscale, il servizio militare, i Borboni non l’avevano invece lo stato sabaudo lo imponeva. L’abbiamo imparato da Verga che è una verità storica e non un’invenzione narrativa.
Poi l’interazione complessa tra legittimisti borbonici, i papalini, i filosabaudi, i repubblicani garibaldini che anche in sede locale hanno una loro complessità e una loro articolazione.
C’è il brigantaggio, c’è l’emigrazione, e poi una modernizzazione dell’Italia che è proprio degli anni della narrazione, a cavallo tra gli anni immediatamente precedenti l’unificazione fino alla fine del secolo. Sono anni cruciali in cui nasce una nazione in senso concreto, nelle sue articolazioni istituzionali, di strategie politiche e civili.
Nello stesso tempo si fa riferimento al grande progetto di modernizzazione quando si parla del telegrafo, del piroscafo, si parla delle strade, e quello che emerge è una comunità del Centro Sud che non è quello, tanto per fare un riferimento letterario, di Carlo Levi che ha disegnato il Sud come una sorta di entità statica. Invece no, questo è un Sud che sta dentro le vicende, anzi è un Sud aperto che si muove in sintonia profonda con il resto del paese. Quello che è certo è che quella stratificazione sociale che troviamo prima dell’unità la troviamo anche dopo, i vecchi notabili non vengono certo disarcionati .
Ci sono tre punti sui quali vorrei soffermarmi, in quanto corrispondono ai miei interessi di studioso: la pagina dei matrimoni rurali dai quali emerge, come anche da altre pagine, le scelte matrimoniali quella che tecnicamente si chiama … cioè scegliersi il marito nello stesso ceto sociale.
Non si esce dal proprio ceto, al massimo si sposa un bracciante …
Invece Eleonora fa eccezione, anche se tardivamente, grazie anche alla sua tenacia e grazie a un evento eccezionale.
Anche l’emigrazione viene riferita con una puntigliosità veramente notevole. Sappiamo che l’emigrazione è un fenomeno ed è un evento molecolare, oppure …è rientrato una volta scaduto il permesso il passaporto tre anni così in uno stesso punto americano uno studio fatto in una comunità dell’Ontario in Canada paese della provincia di Foggia si è trasferito in blocco tra ottocento e novecento.
Roseto degli Abruzzi che è diventato New Roseto, una solidarietà di vicinato diventa una solidarietà molto più larga.
Ci sono gli effetti che l’emigrazione produce delle campagne che vengono abbandonate, c’è una desertificazione demografica, il paese prima era pieno poi è vuoto.
Anche il destino di lavoro di questi emigrati è significativo. È il caso di riferire una battuta del libro “di fare i contadini o i pastori non ci pensarono neanche”.
Di provenienza contadina tutto fanno ma non i contadini, li troviamo nel settore edile, nelle miniere, a fare gli scalpellini, gli ortolani. Ci sono altre motivazioni per cui non hanno fatto i contadini, forse le terre le avevano già distribuite nell’ovest e le avevano prese i tedeschi, gli scandinavi. Molto interessante questo aspetto.
Per ultima la faccenda degli esposti già richiamata in precedenza.
Il fenomeno è vistosissimo, chi mi ha preceduto parlava dell’origine tardomedievale delle istituzioni caritatevoli che erano preposte a trovare una soluzione.
Nel contado fiorentino, nel Mugello che era sotto la giurisdizione dell’Istituto degli innocenti da cui il nome “nocentino” in tutto il fiorentino, non si dirà né esposto né gettatello ma si dirà nocentino, innocenti o degli innocenti da cui il cognome “Innocenti”.
È un fenomeno molto complesso che gli storici hanno studiato e che presenta varie articolazioni che io dividerei in due. La prima sono le motivazioni che hanno spinto all’abbandono, che non sono solo l’indigenza ma anche, come nel caso che abbiamo visto, i figli della colpa, le relazioni adulterine che non potevano essere risolte che in quel modo. Io sono convinto che in molti casi sono proprio adulteri maturati in qualche palazzo nobiliare o dell’alta borghesia, non essendoci il controllo delle nascite non c’era altro sistema.
Penso però anche agli esiti, quelli che ho studiato. Dove andavano a finire questi bambini abbandonati ? Nel caso qui analizzato, tutto sommato, tutto rientra in famiglia, ma in realtà in queste grandi istituzioni che ricevevano anno dopo anno migliaia e migliaia di casi, questi bambini erano separati dalle famiglie una volta depositati attraverso la ruota, fino a che non fu abolita 1870 circa.
Venivano indirizzati altrove, avevano un destino separato, andavano a balia la gran parte e poi dove andavano a finire? Naturalmente potevano essere ripresi in famiglia, ma o facevano i garzoni in qualche bottega artigiana fiorentina o, la grande massa, andava nelle campagne nelle famiglie tenutarie che li tenevano per qualche soldo fino ai 12 e 13 anni, maschi e femmine, poi dovevano badare a se stessi .
Qual è il destino di questi bambini affidati, una volta inseriti come garzoni? Era un destino di precarietà assoluta. Guardando i fogli di censimento si vede anno per anno che le famiglie di questi mezzadri avevano alle loro dipendenze tre o quattro garzoni, non erano più bambini di pochi anni ma erano ragazzi grandi, accuratamente descritti nei fogli di censimento: figlio dell’ospedale, esposto, figlio di ignoti…
Però c’è anche un altro modo per riconoscerli e arrivo a un punto del libro in cui si dice che i figli di Eleonora ricevevano ciascuno un cognome diverso. Perchè c’è una legge che lo imponeva, una legge dei primi anni dell’unificazione che, riprendendo una legge napoleonica estesa poi al resto d’Italia, impediva che attraverso il cognome si potesse risalire alla loro condizione di esposti, cioè veniva vietato che si desse il cognome di Innocenti Proietti Esposti Diotisalvi Colombo, ogni regione aveva i suoi cognomi.
La disposizione era abbastanza rigida ma anche contraddittoria, la leggo perché è interessante:
“l’uffiziale dello stato civile impone ai medesimi un nome ex novo e un cognome evitando che siano ridicoli o tali da lasciar sospettare l’origine; deve del pari astenersi dal dare loro un cognome appartenente a famiglie conosciute “
Nel nome e nel cognome c’è una specie di certificazione immediatamente riconoscibile, perchè non possono essere presi dallo stok dei cognomi abituali, non si chiameranno Rossi o Bianchi o che so io, ma nemmeno Innocenti o Esposti ecc.
E come si chiameranno? Questo è affidato a soluzioni bizzarre che hanno gli ufficiali dell’anagrafe.
In questo libro si parla di un’imposizione di nomi simpatica, che è quella di Montecchi per richiamare l’amore di Romeo e Giulietta, ma in realtà basta scorrere i registri all’ospedale degli Innocenti (c’è un eccellente archivio) per vedere che sia la scelta dei nomi che dei cognomi si muovono in una contraddizione: da un lato le scelte misericordiose solidaristiche e beneauguranti ( Diotallevi Paternoster ecc ) e quelle contrarie in cui viene rimarcata l’origine di colpa, c’è una colpa nella nascita, un peccato, e abbiamo il cognome registrato all’anagrafe come Bastardi…
Lo stesso accade nei nomi. Mentre nel Mugello Giuseppe Luigi Michele sono i nomi comuni nel mondo contadino, dove imporre il nome ha un alto contenuto simbolico come in tutte le società tradizionali (conosciamo tutti la regola d’imporre il nome del nonno o del parente morto o dello zio da poco defunto) come Giuseppe Maria Michele Annunziata ecc
Per questi bambini, sono andato a guardare i registri intorno al 1870 – 75 agli Innocenti, ecco i nomi dati: con alcuni ce la possiamo anche cavare Sperandio Gaudioso Benigno Abbondanzio, però abbiamo anche Privata, Mancante, Primitiva.
Abbiamo addirittura delle iperboli classicheggianti tipo Commoda, Policromia, Ninfadora, Abibone, Neponuceno, Talepodio e Getulio.
Sono nomi, non sono invenzioni, sono dati d’archivio.
Oppure il repertorio medievaleggiante …ardo Clodoalda Valpurga…
Come fanno questi poveri bambini a girare per il mondo con questa targa addosso ?
Andiamo ai cognomi ritrovati negli archivi: Cefali, Canini, Frigidi, Ratti, Rospi, Starnuti, e ancora Maicrisi, Mestrali, Salassi, Resisti.
Volevo soffermarmi su questo aspetto che è particolarmente interessante, perché il destino di questi esposti è un destino di precarietà, attraverso la doppia imposizione ex novo di nome e cognome, viene codificato il loro destino di emarginati, è un annuncio e anche un suggello per tutta la vita.
Chiudo ribadendo i miei complimenti anche per la scrittura, volutamente priva di orpelli retorici, di formule rotonde, invece è molto piana, dà risalto a tutta la narrazione e all’argomentazione, e risulta particolarmente gradevole alla lettura.
Complimenti!"

Prato, Monash Center, 9 marzo 2012